Pubblicato su politicadomani Num 88 - Febraio 2009

Il futuro del lavoro

Ieri, oggi, domani: il lavoro si trasformerà sempre di più in “occupazione” e il lavoratore in imprenditore di se stesso. Tuttavia, se questo appare il risultato del passaggio epocale dalla produzione manuale alla tecnologia e al know-how, non è dato ancora di sapere come si trasformerà il lavoro nel successivo passaggio alla Intelligenza Artificiale

di Romeo Ciminello
(Docente incaricato presso la facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana)

Ieri: produzione e organizzazione dell’economia e del lavoro
Quando ci troviamo di fronte ad una vetrina per effettuare qualche acquisto difficilmente riusciamo a vedere tutta la mole di lavoro che essa rappresenta: estrazione delle materie prime, trasformazione, produzione, distribuzione, trasporti, commercializzazione e vendita. Ma se poi volessimo vedere con una lente di ingrandimento che cosa c’è dietro ciascuna delle voci elencate rimarremmo stupiti nell’accorgerci che ciascuna di esse rappresenta un’infinità di processi e il coinvolgimento di migliaia e migliaia di lavoratori.
Proviamo a descrivere le varie fasi: estrazione di materie prime, che significa ricerca dei giacimenti, allestimento delle macchine e dei meccanismi estrattivi, scavo delle miniere, minatori e maestranze che si occupano della raccolta delle materie estratte e della loro canalizzazione verso altri centri di lavorazione. Ma non è tutto, perché i minatori devono avere un determinato equipaggiamento che deve essere approntato da altri lavoratori di un altro settore che con il loro lavoro mettono a disposizione le strumentazioni, gli abiti e le necessarie attrezzature ad uso del minatore. Una volta estratte le materie prime devono essere trasformate, ma tale trasformazione non può prescindere dal loro trasporto verso fabbriche ed opifici in cui migliaia di altri uomini attendono alla trasformazione delle differenti materie in prodotti semilavorati o in componenti di produzione. Anche questi lavoratori hanno bisogno di equipaggiamenti macchine ed attrezzature. La trasformazione è una attività prettamente industriale che necessita di enormi quantità di prodotto e di masse di lavoratori addetti alle lavorazioni. Però questa trasformazione non è fine a se stessa bensì è presupposto di un processo che si chiama produzione. Processo che si differenzia dal processo di natura artigianale perché si sviluppa su scala industriale, con il coinvolgimento di lavoratori, macchine e tecnologie sempre più avanzate.
Per contro, invece, il lavoro dell’artigiano è fatto da un uomo solo, da un’idea di progetto e dalle capacità professionali espresse a livello personale. Inoltre non ci sono tempi di produzione programmati, ma solo momenti di lavorazione dettati dalle esigenze “artistiche” dell’artigiano. La produzione è la fase più importante in quanto rappresenta il momento finale della trasformazione, il passaggio terminale del processo che porta le materie prime a divenire prodotti semilavorati ed infine prodotti finiti e pronti per la vendita.
La produzione è sempre stata sinonimo di lavoro, tant’è vero che normalmente si parla di produttività riferita al lavoro dell’uomo in termini di prodotto orario e soprattutto in termini di costo, il cosiddetto CLUP, Costo del Lavoro per Unità di Prodotto che tanto ha interessato gli studi sulle metodologie di management degli anni 60 e 70 del secolo scorso. La produzione si serve però anche di macchine e, con il procedere della tecnologia, ha creato il cosiddetto “conflitto capitale-lavoro” rilevato dalla Dottrina sociale della Chiesa a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII. Nella produzione si aumenta il fattore produttivo che costa di meno e che permette di produrre di più. Come oggi tutti sappiamo tale conflitto vede perdente il lavoratore su tutti i fronti, sostituito ampiamente da macchine, processi robotizzati e computerizzati.
Dopo la produzione c’è la distribuzione a proposito della quale possiamo immaginare le migliaia di navi mercantili, aerei cargo, camion e container che si muovono nel mondo per la distribuzione delle merci e la loro collocazione sui diversi mercati per la fornitura dei prodotti richiesti. In altre parole la distribuzione rappresenta il collegamento tra domanda e offerta. La distribuzione è un anello importante della catena e continua a rappresentare un importante serbatoio di lavoro. Troviamo infatti la catena breve formata dalla linea diretta tra produttore e consumatore e troviamo il canale lungo che tra produttore e consumatore inserisce il grossista, il rappresentante e il dettagliante. Ma la distribuzione coinvolge anche i trasporti e non solo di merci, ma anche di persone che percorrono anche centinaia di chilometri al giorno, come i pendolari per recarsi sul posto di lavoro per distribuire e commercializzare i prodotti. La commercializzazione è la fase di presentazione del prodotto finalizzata alla vendita, si tratta del negozio, della vetrina del supermercato.
La produzione, tuttavia, non è soltanto relativa al ciclo che coinvolge i prodotti materiali, esiste anche un tipo di produzione cosiddetta “terziario” e “terziario avanzato” che esprime lavoro prettamente rivolto al settore dei servizi. Servizi di ogni genere che non dipendono dalla quantità di materie prime o dalla combinazione capitale-lavoro ma dipendono esclusivamente dalla combinazione di lavoro e inventiva, di professionalità e qualità, di rispondenza coerente tra tempi e metodi rivolti al servizio. Questa è l’area preponderante del lavoro nel mondo sviluppato. È l’area che permette a chiunque lo voglia di ottenere un’occupazione; l’unica condizione è possedere una idonea professionalità. Le imprese di servizi infatti, a differenza delle imprese produttive di beni reali, non dovrebbero avere limiti d’impiego perché il servizio, essendo immateriale, si trasforma, si amplia, si caratterizza, si personalizza. Sfruttando quindi una legge economica, detta del Say, potrebbero ampliarsi all’infinito perché “ogni offerta crea la propria domanda”. Si pensi alle imprese finanziarie, assicurative, di turismo, di formazione, di consulenza ecc. Si pensi alle migliaia di professionisti, cioè lavoratori impiegati in studi professionali. Il terziario avanzato unisce a questa professionalità l’uso sofisticato della tecnologia, e quindi il servizio assume toni di lavoro altamente specialistico tanto da rasentare i limiti del monopolio.

Oggi: che cosa sta accadendo?
Da un po’ di tempo a questa parte però tutto questo castello si sta sfaldando. Stiamo vivendo un momento di crisi talmente forte che non sappiamo dove ci porterà, ma che avrà senz’altro gli effetti di diffondere grossi iceberg di malcontento nei mari del mercato e soprattutto del lavoro, che andranno ad impattare con diverse aree di produzione generando catastrofi alla stessa stregua di quello che gli iceberg veri causano nei mari reali. La colpa della crisi è difficile da attribuire, perché anche se il settore finanziario viene accusato come primo responsabile, in realtà anche il settore produttivo e terziario non sono avulsi da colpe. Il mercato visto come una panacea in realtà è fallito e difficilmente ritroverà i lustri degli anni 80 e 90 del secolo scorso. Si cerca perciò di trovare scuse alla crisi e di dare colpe all'iperproduzione e al dumping cinese. Si individua la colpa nell'euro, troppo alto rispetto al dollaro, che deprime le esportazioni negli Stati Uniti. Si attribuiscono colpe  sia ai nuovi che ai vecchi produttori, dalla Spagna alla Turchia, dal Messico al Brasile, a causa della loro concorrenza senza quartiere. Non scevra di colpe è l’organizzazione mondiale del commercio meglio conosciuta come WTO che attuando la globalizzazione ha stravolto e introdotto mutamenti epocali nella divisione internazionale del lavoro.  

Domani: Che ne sarà del lavoro? Come si trasformerà?
Certo non appare facile abbozzare una corretta visione del futuro del lavoro. Una cosa però è certa. Il lavoro come lo abbiamo concepito fin ora, almeno noi in Italia, è destinato a scomparire. Scomparirà il posto di lavoro e con esso anche la sicurezza della mansione professionale. Il lavoro sarà sempre più caratterizzato da una notevole presenza di contenuto immateriale, sia in termini di prestazione che di presenza fisica. Infatti i luoghi di lavoro saranno destinati a trasformarsi e a ridursi, sino a scomparire. Come giustamente rileva Ulrich nel suo libro La società del rischio oppure J. Rifkin nel suo La fine del lavoro. La trasformazione non sarà indolore e avverrà tutta a discapito dei più deboli, cioè dei lavoratori. Gli imprenditori risparmieranno molto perché non ci saranno più le grandi aggregazioni, non dovranno più costruire grandi fabbriche o edifici, curarne la manutenzione, pensare all’arredamento per permettere ai lavoratori di viverci, e quindi all’aria condizionata, ai riscaldamenti, ecc… Risparmieranno anche sull’assicurazione e sui tempi di percorrenza da casa al lavoro e viceversa. Sicché il lavoratore non dovrà neanche uscire di casa per effettuare il suo servizio. Basterà che accenda il computer e si sintonizzi identificandosi sul server centralizzato che attraverso l’immissione dello username e della password ne rileverà i tempi di attività. Non ci sarà più l’orario di lavoro, ma ci saranno obiettivi diversi da raggiungere durante la giornata. Con ciò verrà a sparire la mansione e si inizierà la frammentazione dell’attività lavorativa in più compiti, anche diversi tra loro, durante la giornata.  Nulla vieta che un promotore finanziario, finito il compito relativo al settore, passi ad occuparsi di editoria, curando l’uscita di una rivista finanziaria, per poi lasciare l’altra parte del tempo dedicata ad una postazione di call center per la vendita di promozioni e viaggi relativi all’acquisto di una piattaforma di trading on line.

Il lavoro si trasformerà sempre più in “occupazione”
Sempre più spesso si userà nel lavoro la formula co.co.pro., che pare soddisfare di più le aziende perché le sganciano da costi e da responsabilità. Si passerà sempre di più al progetto di lavoro tutto compreso. Si lavorerà per periodi definiti con retribuzioni stabilite e con tempi molto elastici. Il lavoro divisionale concepito per mansioni verrà sostituito, con l’avanzare della tecnologia a livello globale, dal lavoro stellare o meglio molecolare, vale a dire che se una volta vi era il primo o il secondo lavoro, nel futuro ci saranno 4 o 5 lavori da fare durante il giorno, che determineranno sia l’occupazione in termini statistici sia la redditività in termini economici. Una visione che potrebbe sembrare pessimista ma in verità è semplicemente realista. Non è concepibile, infatti, che il mondo occidentale possa ancora crescere su vecchi schemi ormai ampiamente superati e dai quali occorre uscire prontamente per salvare quel poco che ci è rimasto anche in termini di dignità.
Il lavoro sarà “divisionalizzato” e sicuramente rivolto ad una concezione di crescente auto-imprenditorialità individuale. Non si avrà più il datore di lavoro ed il lavoratore, ma vi sarà una domanda e una offerta di compiti, con una maggior concorrenza dall’una e dall’altra parte. In tal modo ciò che avverrà potrà essere concepito come una redistribuzione di valore che attualmente, passa attraverso il lavoratore ma finisce per concentrarsi e accumularsi nelle casse dell’imprenditore.
Ciò che vedo è la trasformazione della circolazione del valore insito nel processo di produzione che, come dice B.J. Lonergan nel suo Essay on circulation analisys, può essere definito come “punto a punto”, determinato quindi dalla relazione definita tra materia prima e prodotto trasformato;  come “punto su linea”, vale a dire come corrispondenza indefinita tra bene strumentale e prodotti o servizi erogati; o, infine, come “punto su superficie”, cioè come corrispondenza infinita tra strumento usato e bene erogato. In tali processi esiste, invece, sempre un flusso di valore prodotto che può essere ripartito come copertura, o meglio ripristino del prodotto ed una parte di valore aggiunto che si ripartisce a sua volta tra imprenditore e lavoratore vale a dire tra profitto e salario. Bene, questa seconda suddivisione tenderà a scomparire. Vale a dire che il lavoratore che diviene imprenditore di se stesso, fruirà della totalità del valore aggiunto e quindi avrà maggiori occasioni di crescita sia in termini di recupero costi, e quindi di livelli di sussistenza raggiunti, sia in termini di crescita del tenore di vita che gli permette di raggiungere più alti livelli di sviluppo.
Con ciò verrà a determinarsi anche una nuova concezione di previdenza e soprattutto di fiscalità. Un’ultima cosa da sottolineare. In questo contesto non posso delineare la funzione di quella variabile indipendente che si chiama tempo, e di cui l’accelerazione è l’espressione più perniciosa. Il tempo infatti, che ha determinato il conflitto capitale-lavoro, lo ha trasformato in tecnologia e know-how. Nel futuro lo trasformerà ancora, con una accelerazione di cui noi non conosciamo la potenza, in Intelligenza Artificiale. Ma a questo punto non saprei dire dove andrà a finire il lavoro!

 

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